L’Italia sa gestire le emergenze. Siamo stati il primo Paese occidentale ad essere colpito dall’epidemia, eravamo al primo posto per infetti e morti, ora siamo al ventunesimo e se continua così, se con determinazione si fanno le scelte coraggiose che la stragrande maggioranza della popolazione assimila e mette in atto, forse potremo migliorare ancora. Non avevamo gli anticorpi per il SARS CoV2 ma gli avevamo per reagire a questa tragedia. Negazionisti, complottisti, fautori di cure domiciliari precoci sono una rumorosa minoranza.
Cercando di semplificare il più possibile l’analisi sul loro comportamento, dal brodo di mille parole urlate nei social e, incautamente e colpevolmente, nelle piazze, emergono due parole che rappresentano il loro essere: paura e rabbia e una punta di egoismo. Chi ha torto o ragione lo dirà il tempo, la storia, ma adesso, adesso e non domani, dobbiamo agire e dal nostro agito di oggi scaturirà il nostro domani.
Siamo bravi nelle emergenze (noi italiani in genere) un po’ meno nella programmazione, nell’organizzazione a lungo termine. Così il personale sanitario da eroe si è velocemente trasformato nelle esternazioni della gente in qualcosa di diverso. Questa pandemia, come un catalizzatore, ha accelerato gli eventi. E così oggi i concorsi vuoti e le dimissioni volontarie dei medici dagli ospedali sono una quantità già insostenibile in molte realtà. Un qualcosa che assume i toni di un si salvi chi può e che ha interessato chi poteva realizzarsi in altra maniera, chi non accettava il vivere in una eterna emergenza immerso in una insufficiente organizzazione che gli alienava la vita.
Chi non si sentiva trattato come un professionista. Chi si è sentito tradito e ha scelto di chiudere gli occhi per non guardare in faccia la vocazione che lo aveva ispirato. Adesso, adesso e non domani, abbiamo l’occasione di cambiare rotta. Penso che, oggi, dopo un evento sociale come questa nuova pandemia, i contratti di lavoro attuali sono ampiamente superati e possano portare alla fine di un Servizio Sanitario per tutti.
Credo sia una buona idea trattare la carenza di personale medico e la sua demotivazione come un’emergenza. Dovremo rendere più appetibile, e non solo dal punto di vista economico, la professione medica nel Servizio Pubblico attraverso un contratto coraggioso in modo arginare la pericolosa deriva in cui ci dibattiamo.
Necessita invertire la tendenza. non più strisciante, alla proletarizzazione della dirigenza medica e sanitaria e di tutti gli operatori pubblici, ossatura di uno Stato. Necessita dare autonomia ai professionisti e permettergli un reale aggiornamento professionale di livello elevato, Universitario. Necessita dare le ali al territorio la cui inefficienza si abbatte sugli ospedali che sono un bene prezioso, per tutti. Necessita, concretamente, rendere una scelta desiderabile l’esercitare la professione nell’emergenza-urgenza. Non solo nella così sbandierata prima linea perché questa non esisterebbe se non ci fossero tutta una serie di professionisti che la supporta 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Persone, madri, padri figli che vivono con orari oggi incompatibili con una vita normale. Con orari e retribuzioni che oggi risultano incredibilmente inadeguati per un professionista agli occhi di chiunque abbia buon senso.
Eroi, prima linea sono parole guerresche che non ci si adattano più. Noi non siamo chi guerreggia ma l’esatto reciproco: chi cura e lo vuol fare con la giusta valorizzazione, con passione, adeguatezza e organizzazione, nel rispetto della vita che a noi è affidata.
Dott. Gabriele Gasparini
Neuroradiologo, Sindacato nazionale radiologi SNR-FASSID