Confindustria dispositivi medici (ex Assobiomedica) lancia l’allarme vetustà degli apparecchi cui sarebbe affidata la salute degli italiani – molti “al rientro” dopo che il Covid negli ospedali li ha tenuti lontani per mesi dai controlli diagnostici. I medici ribattono: non è la macchina che fa la diagnosi ma chi stila il referto, conoscendo anatomia e patologia. Per Confindustria Dm sono superati 84 mammografi convenzionali su 100, e il 74% degli apparecchi per risonanze magnetiche nucleari di precisione “minore” con campo magnetico entro un Tesla e il 51% di quelli intermedi, tra 1 e 1,5 Tesla. Superate pure circa metà di Tac e Pet dal punto di vista della qualità dei dati offerti. Stando ai dati dell’Osservatorio Confindustria Dm, ci sarebbero 18 mila apparecchiature di diagnostica per immagini obsolete in giro per l’Italia. In particolare, l’età media dei mammografi convenzionali è pari a 13,4 anni e il 54% delle Rm chiuse entro un Tesla supera i 10 anni a fronte di un periodo di adeguatezza di 5 anni.
«Malgrado timidi segnali siamo ancora lontani da un reale processo di ammodernamento del parco installato nelle strutture italiane», spiega Aniello Aliberti, presidente di Elettromedicali e Servizi integrati. Secondo l’indagine Tech4Life promossa da Confindustria Dm e realizzata da Community Research & Analysis per l’84% della popolazione italiana rinnovare i macchinari e le tecnologie degli ospedali è di primaria importanza. Accrescerne l’attendibilità e la sicurezza è urgente «in un periodo in cui il 37% degli italiani ha rinviato del tutto o in parte esami, visite e cure mediche per la paura del contagio o per il sovraffollamento delle strutture impegnate nella lotta al Covid-19». Per questa missione e per il lifting agli ospedali, il Recovery Plan italiano al capitolo salute” stanzia 10,5 miliardi. Soldi che servono subito, anche se in un comunicato Bruno Accarino presidente Gestione risorse della Società italiana di radiologia medica invita a non mettere in relazione attrezzature obsolescenti e diagnosi sbagliate o imprecise. «Il problema segnalato c’è. Ma la velocità o la modernità delle macchine, tranne per alcune prestazioni innovative, nulla toglie o aggiunge alla capacità diagnostica affidata ai medici radiologi. Così come l’aumento di velocità dei processori nulla ha a che vedere con la velocità delle diagnosi, anzi rallentata dalla necessità di analizzare un numero sempre maggiore di immagini».
Membro della Segreteria del Sindacato nazionale radiologi, Accarino sottolinea come il messaggio dei produttori rischi di essere fuorviante, «dire che abbiamo attrezzature inadeguate in Italia assomiglia a quel modo di fare approssimativo e di facile impatto che ha provocato ad oggi la presenza di un 30% di popolazione perplessa sul vaccino che aiuta, se non causa, il ritardo rispetto ad altri paesi». Aggiunge che i dati del comunicato non sono molto diversi da quando collaborava al Centro studi di Assobiomedica (tre anni fa la trasformazione in Confindustria Dispositivi medici). «Il nostro parco macchine è in parte superato ma la diagnosi non la fa l’apparecchio bensì il radiologo.
Diversamente sarebbe come affermare che basta possedere una Formula 1 per diventare automaticamente un campione», spiega a Doctor 33. «La macchina è uno strumento del clinico per fare diagnosi, ce ne sono e ce ne saranno di sempre migliori, aggiornarle è un tasto dolente, ma i dati vanno offerti al pubblico in modo corretto. Se è vero che l’80% dei mammografi convenzionali – non quelli digitali – ha oltre 10 anni, va detto che tutti sono sottoposti a verifiche di controllo di qualità e se queste ultime non vanno bene la normativa sulla radioprotezione, una legge del 1964 adeguata nel 2000 e nel 2020 (legge 101) a seguito della direttiva Euratom 13 59 impone di dismetterle, chi continua a usarle opera nell’illegalità. Per contro, i mammografi digitali sono in grande crescita e una maggioranza è del tutto adeguata. Quando una struttura del Servizio sanitario acquista un nuovo apparecchio, il vecchio va dismesso per non creare un’offerta a due velocità, pazienti analizzati con la macchina vecchia ed altri con la macchina nuova».
Non è tutto. Accarino osserva che nell’indagine dell’Osservatorio non si parla affatto di macchine per radiologia tradizionale, «quelle per le rx convenzionali, che pure in unità sono 10 volte i mammografi e 20 le apparecchiature per Rmn. Perché dovremmo solo sostituire Tac ed Rmn e non anche il parco di macchine più “leggere” che ha oltre 10 anni nell’81% dei casi? Tra l’altro, se Tac e Rmn sono tutte d’importazione, le macchine “convenzionali” sono per il 50% prodotte in Italia e dagli stessi associati in Confindustria Dm».
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